martedì 10 luglio 2007

Un calcio ben piazzato alla paura

(Pubblicato sul “Trullallero” del mese di dicembre 2005, newsletter informativa dell’AIAS, Associazione Italiana Assistenza Spastici, Sezione di Bolzano, presso la quale Elena ha praticato diversi cicli di terapia musicale e dove la mamma di Elena attualmente collabora. L’Associazione ha richiesto di esprimere la propria opinione ed una considerazione circa l’esperienza maturata fino a quel periodo.)
“Mi chiamo Michela e sono la mamma di Elena, una splendida bimba nata nel dicembre del 2003. Elena, nata apparentemente sana, si è ammalata quando aveva quattro mesi e dopo un lungo e complesso ricovero in ospedale, dovuto a gravi crisi epilettiche, è risultato che la nostra bambina è affetta da encefalopatia con un grave ritardo psico-motorio.
Tra le varie terapie che effettuiamo con cadenza quotidiana, da aprile 2005 Elena frequenta anche il corso di musicoterapia organizzato dall’AIAS.
I miglioramenti di Elena fanno timidamente capolino a piccoli passi attraverso cenni a volte quasi impercettibili. Ma ci sono. Dopo un anno dall’inizio delle terapie e dopo un lungo processo di stimolazione Elena ha finalmente dimostrato interesse al punto di allungare le mani per toccare – prima – e suonare – poi – gli strumenti musicali che le vengono proposti. Al fine di testimoniare questi suoi progressi la scorsa settimana ho portato con me la macchina fotografica, ma – forse per un segno del destino – ogni fotogramma scattato è risultato sfuocato. Tutti ad eccezione di uno, quello in cui Elena tende la mano verso il violino, per suonarlo.

Ho voluto credere fortemente in questo come in tanti altri “segni” che rappresentano - a mio giudizio - la mano tesa, ossia la richiesta di una piccola creatura inerme che si protende in cerca di amore. Amore che noi genitori possiamo e dobbiamo dare ai nostri figli, piccoli o grandi che siano, ma comunque sempre privi di difesa. A volte ci si sente impotenti, si vorrebbe fare di tutto e di più e può capitare di cadere nello sconforto, rendendosi erroneamente conto di non poter fare nulla. Ciò non è corretto: con la nostra costante presenza ed il continuo amore di mamme sono convinta che (anche se apparentemente può non sembrare) questi profondi sentimenti siano perfettamente recepiti ed assorbiti dai nostri bambini. Il desiderio di essere utili, spesso in contrapposizione con la sensazione di fallimento o inefficienza, sono in qualche modo fortissimi. Sovente ci si dimentica, però, che l’obiettivo delle nostre attenzioni è sempre costantemente molto più vicino a noi di quanto non immaginiamo: è semplicemente lì, che tende la mano e chiede aiuto e amore.
La mia Elena è stata per un lungo lasso di tempo in terapia intensiva e più volte ha rischiato la vita. Ancora oggi non riesco a togliermi dalla mente quel periodo, quel silenzio, quei macchinari, quel fortissimo legame che è andato rafforzandosi tra i genitori dei piccoli compagni di stanza che oggi ne sono usciti e di quelli che, invece, non ce l’hanno fatta. L’attesa a casa “della telefonata” dall’ospedale: ancora oggi quando squilla il telefono ho un sussulto; ancora oggi quando metto a letto la mia piccola ed assieme recitiamo le preghiere della sera, ancora oggi quando dedichiamo la nostra giornata ai bimbi malati e sofferenti, ancora oggi quando vado a dormire e nei miei incubi ricorrenti sogno la mia piccola che se ne va, ancora oggi quando ripenso a quei giorni, sono convinta che la paura sia in assoluto l’elemento più negativo e distruttivo per il futuro nostro e quello dei nostri figli. Distruttivo perché tarpa le ali a tutti quelli che possono essere i sogni, i desideri, ma anche i progetti reali per poter dare una concreta speranza di miglioramento. Negativo, perché la paura - da ogni punto di vista ed in ogni campo - è in netta contrapposizione con la volontà di progresso.
In questo anno e mezzo di galoppate tra una terapia e l’altra, tra un ricovero ed una visita medica, posso dire di avere ancora troppa poca esperienza - come mamma di un disabile - per esprimere un giudizio per quanto riguarda l’incredibile mondo in cui siamo state proiettate.
Desidero però essere, assieme alla mia Elena, un messaggio di speranza per tutte le mamme - attuali e future - di persone in situazione di handicap, ma non solo, anche di mamme “normodotate”, affinché si ricordino molto molto bene che la salute è un bene prezioso del mondo, un vero e proprio dono che va tutelato ed onorato al meglio. Il mio invito è quello di dare un calcio ben piazzato alla paura e di spalancare le porte all’amore ed alla fede, perché solo con la speranza i nostri figli potranno crescere in un clima positivo e solo in questo modo potremo trasmettere loro un messaggio di serenità. Bolzano, novembre 2005 - Michela, mamma di Elena”.

Nessun commento: